Tutto era sereno fino a poco fa.

scritto da natostanco
Scritto 2 mesi fa • Pubblicato 2 mesi fa • Revisionato 2 mesi fa
0 0 0

Autore del testo

Immagine di natostanco
Autore del testo natostanco

Testo: Tutto era sereno fino a poco fa.
di natostanco

TUTTO ERA SERENO FINO A POCO FA

1
Che strana luna fosca c’è stanotte, ha un’aureola venata d’arcobaleno.
Scherzi della rifrazione?
Indugia stupenda.
È misteriosa.
Hai fascino luna; tienimi compagnia mentre innaffio le begonie, i narcisi e le calendule.
– Innaffiale di notte, – diceva Bianca – bisogna innaffiarle al buio, meglio se la luna è piena: prendono vigore e durano di più.
Ah, la notte. Già, meglio sia piena la luna.
– Però bada di non esagerare, altrimenti ammuffiscono; poi si sdraiano e non le rialzi più. – Insisteva canzonandomi.
Toh, godetevi la luna anche voi.
Dai, l’ultima sigaretta, poi a dormire. Frish, pha.
Ma chi ha voglia di riposare con questa luna che si lascia guardare, spiando velata.
Hei, signore, attento al gradino, è un po’ sbilenco. Lo devono aggiustare: hanno detto domani, tre settimane fa.
Ah, anche a lei piace la luna?
Ha notato?
È fosca. Stanotte seduce con l’iridescenza; mai visto tale prodigio.
Anzi, no. Ora mi torna alla mente.
Una mattina, nella nebbia fitta, ha fatto capolino il sole. Uno stranissimo sole. Anche lui aveva un’aureola colorata, come un arcobaleno circolare.
È stata l’unica volta in cui l’ho fissato senza accecarmi, ma era inverno; forse non conta.
Era il giorno in cui c’era il funerale di mia madre; sa, quasi lo perdevo per guardare l’alone a colori.
Che dice?
Sarà stato un presagio?
No. Non credo a cose del genere.
Quanti guai con tutti i gatti neri che mi hanno attraversato la strada.
Eppure sono qui: mai rotto niente, nessun problema serio, sono senza debiti, e faccio ancora l’amore; pardon, ho sbagliato, saranno anni che non succede, ma alla mia età è concesso almeno il ricordo. O no?
Come?
Se son contento della mia vita?
Ma certo! Ho amato, sono stato amato, ho riso, ho ballato, e, sappia, ho anche recitato. Cose minute, insignificanti, ma quanto timore in quei momenti: mi balzava il cuore in gola, da incosciente.
Sì, ho sempre avuto una vena claunesca; del resto una giornata senza un sorriso sarebbe sprecata.
Ne conviene?
Come pochi giorni fa.

2
M’ero recato al cimitero, col mazzolino di fiori profumati raccolto in questo piccolo giardino, per visitare la tomba di Bianca, la compagna di scarsi mesi: l’amore di una vita.
Tutto era sereno fino a poco prima di entrare nel camposanto.
Giungo, alzo gli occhi, e mi stupisco.
Rossi? Come rossi? Mi ricordo bene: l’ultima volta ho collocato margherite, bianche, tagliate corte, così stanno comode nel vasetto.
Non fiori rossi.
Controllo ancora, incerto, infilando gli occhiali.
In alto, terza fila, Farina Bianca.
Accanto c’è la lapide intonsa che ospiterà il mio nome; ovviamente mancano le date.
– Sono proprio le nostre, ma Bianca oggi ha fiori rossi. E non sono i miei!
Guardo intorno, circospetto, pensando alla burla di certi ospiti della casa di riposo. Sono buontemponi: mi sfottono per l’amore ritrovato, e poi purtroppo perso, nell’anno troppo breve di felicità concesso dal caso.
Stupidi!
Appoggiato alla colonna mi afferra lo sconforto mentre asciugo le lacrime col dorso della mano. Soffro.
Ah, maledetti sciocchi: attendono la fine, senz’altra speranza, tra una mano di carte e l’altra.
Io no!
Ho amato fino all’ultimo istante, e continuo ad amarla quell’anima lì. La mia Bianca.
Però adesso ha dei fiori rossi.
Garofani mi pare.
Odio i garofani.
Calma, impongo.
Allora: l’ultima volta sono venuto, cos’è, la settimana scorsa, e le ho portato le margherite. Prima ero bloccato dalla sciatica. Ma comunque non le ho portato i garofani, son sicuro. Quindi…
E riguardo in alto.
– Toh!
Sopra la lastra di Bianca risaltano gli stessi garofani. Rossi.
Sospettoso, faccio una smorfia arricciando bocca e naso; aguzzo gli occhi, ma non distinguo i caratteri così in alto.
– Scusi, signora, – importuno – mi perdoni, ma oggi la vista fa brutti scherzi. Può leggere il cognome lassù, in quarta fila, quello con i fiori rossi?
– Avanzo Camillo. – Riferisce disponibile. – Vuole anche la data? Diciotto ottobre. Cinque giorni fa. Chi era, un suo amico?
Non rispondo. Boccheggio.
Fisso la donna senza riuscire a risponderle, tanto sono stupito.
Dopo alcuni secondi di apnea riesco a inveire:
– M’ha fregato. Il bastardo adesso le riposa sopra.
La signora non comprende, si guarda attorno in cerca di aiuto, ma le faccio segno: non c’è nulla di cui preoccuparsi.
Lei, esonerata, s’allontana, perplessa.
– Camillo, ce la siamo contesi proprio fino all’ultimo, vero? – Annuisco ciondolando il capo.
Beffato, scrollo le spalle, e batto in ritirata appoggiato al bastone.
M’incammino, dric e dür. Però, all’angolo, rivolgo un’ultima occhiata alle lapidi e non riesco a trattenere la risata irrefrenabile.

3
Sono contento di averle strappato un sorriso.
Grazie per i complimenti alla voce, profonda l’ho sempre avuta.
Sarà natura.
È anche colpa delle sigarette se è diventata così ruvida e profonda; ha ragione, non dovrei fumare, ma alla mia età cosa può succedere? Morire?
E lei, non ha nulla di divertente da raccontarmi?
Come?
Non ha fantasia?
Ma cosa dice?
Tutti abbiamo quel dolce inganno delle bugie che inventiamo, altrimenti non possiamo nascondere i nostri pensieri in stanze segrete.
Diventeremmo troppo evidenti, banali. Inutilmente banali.
Dai, si sforzi. Da bravo.
No?
Pazienza. Allora le racconto una quinta della mia vita.
Ero a Vienna. All’epoca commerciavo in mobili, meglio se art decò o della Secessione.
In compagnia del restauratore siamo entrati al ristorante Griechenbeisl, vicino al museo Mozart: lì si calpestano pavimenti di antico legno, protetti da tappeti consunti; le pareti di quercia sprigionano secoli di odori e fumo; alti soffitti a botte, in pietra sbozzata, presenziano al rito del cibo già da prima dell’impero.
Ci accomodiamo di fronte all’attempato ritratto di Francesco Giuseppe in divisa. Serio.
La giovane cameriera, in abito tipico, ci fornisce il menù: scegliamo la scontata cotoletta viennese, nix salade, accompagnata da tagliatelle scondite. A loro piace così.
Innaffio il pasto con due boccali di birra, tosta e spumeggiante.
Al termine pago, elargendo una sostanziosa mancia, più per l’avvenenza della ragazza che peraltro, ricambiato da un lieto:
– Dankeschön.
La reazione sbocca incontenibile e, con due litri di birra in corpo, le rispondo:
– Preghe… schön.
Lei indugia imbarazzata e confusa, ma poi la risata le dilata il sorriso, mentre s’allontana divertita.
Ma non finisce qui.

4
Non bastò l’aria frizzante fuori dal ristorante per svegliarmi dal torpore della sovrabbondante birra, anzi: più insistevo a camminare, maggiori erano le difficoltà.
Girai attorno all’isolato i cui muri parevano ondeggiare; ad ogni passo lucido ne equivalevano due di sbieco.
I pochi passanti mi evitavano schifati e smorfiosi. Eppure non davo fastidio a nessuno; ero cosciente, anche se un po’ brillo.
E chiacchieravo.
Chiacchieravo convinto di parlare coll’aiutante, supponendolo vicino; lui, invece, era abbrancato a un lampione, guardato a vista dai pedoni trasferitisi sbrigativamente sull’altro marciapiede.
Intende come ricordo con precisione i fatti?
Quindi non potevo essere completamente sbronzo.
Va da sé che, passo dopo passo, discendendo un’ardua scalinata, mi ritrovai nella piazza Schwe… qualcosa.
E sfocio in un tripudio di binari tramviari.
Uno spettacolo di ferro lucente scompigliato da trolley guizzanti tra le scintille.
Ero affascinato: oscillavo la testa come se girovagassi tra le giostre.
Finché non mi colpì l’immagine di una pubblicità sul fianco di un tram fermo; lì, a pochi metri, ritraeva, con certezza, la silhouette di una donna, a mio parere nuda.
Inebetito, tento di avvicinarmi per abbracciarla, quando vengo trattenuto per la collottola da una mano ferma. Quasi mi strozza.
In quello stesso istante sfreccia un tram, rasentandomi.
Mi volto e guardo l’uomo.
Alto, accigliato nel brillio degli ioni. Pressappoco della sua taglia.
Lui lascia il bavero dell’impermeabile, mi rassetta e di sorpresa pronuncia pacato:
– Non è ancora il momento.
Poi si dilegua, con passo lungo e preciso, lasciandomi lì, tonto, ancora tremante.
Non sono neanche riuscito a ringraziarlo.
Sebbene non sia credente, tuttora immagino fosse il mio angelo custode; perlomeno, mi fa piacere pensarlo così.
Allora, signore, cosa ne pensa di questa vicenda?
Ha dell’incredibile, vero?
Come mai ho l’impressione di averla già vista da qualche parte?
Perché mi fissa mortificato?
Oddio. È… è ora, quel momento?
Ah.
Ma sì, perché no.
Farà male?

Tutto era sereno fino a poco fa. testo di natostanco
6

Suggeriti da natostanco


Alcuni articoli dal suo scaffale
Vai allo scaffale di natostanco